7. Gli ominidi più antichi

7 Gli ominidi più antichi

Le tappe fondamentali dell’ominazione sono state ricostruite in modo abbastanza preciso grazie agli studi dei resti fossili ritrovati in varie parti del mondo dai paleoantropologi, cioè dai ricercatori e studiosi degli antichi ominidi. I reperti fossili di ominidi consistono soprattutto di ossa e di denti ma si sono anche trovati impronte, utensili, tracce di attività.


Quali ritrovamenti fossili di antichi ominidi hanno permesso di ricostruire i primi passi dell’evoluzione dell’uomo?

7.1 I resti più antichi

Le scoperte più recenti, avvenute all’inizio degli anni 2000, consistono in un piccolo cranio scimmiesco con denti canini di piccole dimensioni datato 6,5 milioni di anni; apparteneva a un individuo del genere Sahelanthropus (19), ritrovato in Ciad, nell’Africa centro-settentrionale. Naturalmente non si può sapere se era bipede. In Kenya, Africa centro-orientale, si è trovato un femore lungo e robusto appartenente al genere Orrorin datato 6 milioni di anni (20). In Etiopia sono stati trovati resti e denti di Ardipithecus di 5,2 milioni di anni ( 21 ). Gli studiosi ritengono che si tratti di organismi che rappresentano le fasi più precoci dell’evoluzione verso gli ominidi; tuttavia, visto che i reperti sono pochi, lasciano aperti numerosi dubbi.

7.2 Gli australopitechi

I resti fossili dei primi ominidi ritrovati in diverse località dell’Africa sono stati raggruppati nel genere Australopithecus. Vissero in un periodo compreso tra 4,2 e 1,2 milioni di anni fa e i vari ritrovamenti hanno permesso di identificarne almeno tre specie, tutte con caratteristiche molto simili. A Laetoli, in Tanzania, sono state ritrovate delle impronte di piedi di tre australopitechi, due adulti e un bambino, vissuti 3,5 milioni di anni fa, sufficienti a testimoniare la loro capacità di muoversi su due arti. Il reperto più completo e più famoso appartiene però a una femmina di australopiteco scoperta nel 1975 e battezzata Lucy dal suo scopritore. Il piccolo scheletro di Lucy, completo al 40%, ha dimostrato che era sicuramente bipede. Gli australopitechi possedevano un’arcata dentaria abbastanza simile a quella umana e ossa del bacino larghe che fanno ipotizzare l’esistenza di potenti muscoli, utili per camminare in posizione eretta. Presentavano però ancora alcuni caratteri in comune con le scimmie, come braccia lunghe e cervello abbastanza piccolo. Conducevano vita di gruppo e si spostavano nella savana alla ricerca di cibo, utilizzando come abitazioni occasionali ripari naturali. Per cacciare o per difendersi usavano bastoni o sassi raccolti sul loro cammino.

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Lucy, “figlia di una scimmia e madre dell’uomo”

Nel 1975, ad Hadar, in Etiopia, il paleoantropologo Donald Johanson portò alla luce parti dello scheletro di Lucy, un ominide femmina classificato come Australopithecus afarensis. Il nome “Lucy” deriva da una canzone dei Beatles, Lucy in the sky with diamonds, che i ricercatori stavano ascoltando mentre scavavano nel terreno. Johanson definì Lucy come «figlia di una scimmia e madre dell’uomo» poiché la sua specie di appartenenza avrebbe dato origine all’uomo. La femmina di australopiteco era alta circa 110 cm e pesava probabilmente 40,6 kg, possedeva un bacino basso e largo, come nella specie umana, il capo quasi in linea con la colonna vertebrale, il femore lungo e robusto, una capacità cranica di circa 470 cm3.

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